Quando si conosce un gatto si trovano in lui tanti compagni diversi:
un animale pigro e rumoroso, un umano comprensivo, uno specchio
attraverso il quale cercare la propria forma ideale. Le vie di
comunicazione alternative al linguaggio, costruite empiricamente
attraverso la vicinanza col micio, sono talmente sorprendenti che
l'uomo si sente in dovere di reprimere i propri stupidi suoni
scimmieschi per imparare qualcosa da quel figurino impassibile e
sempre consapevole della propria superiorit� a tutto. Come
descrivere dunque (un po' meglio di me) questo rapporto che
oserei definire ironicamente provvidenziale in certi casi della
vita?
William
Burroughs nel suo "Il gatto in
noi" attribuisce
un'importanza vitale ai suoi incontri veri o immaginari con i
gatti, avvenuti dall'infanzia fino alla maturit�, in quanto
costituiscono allegoricamente le principali tappe interiori del
suo passato. Se potessi rendere a parole lo scroscio di applausi
che � seguito allo spettacolo GLI STREGATTI, lo prolungherei ancora un po', per rendere onore
al merito ma anche per invogliare quei simpatici ragazzi del
Minghetti che preferiscono guardare la televisione invece di
partecipare alle iniziative teatrali dei loro dotati compagni. Ma
bisogna essere indulgenti perch� non sempre si ha il tempo e la
pazienza di guardare i volantini a scuola e di informarsi. In
questo spettacolo la regista e gli attori hanno dato vita,
attraverso una riuscita interpretazione di brani scritti per
l'appunto da Burroughs, oltre che di poesie di Eliot, a vari
personaggi in veste felina.
Questi
personaggi non sono stereotipi n� di gatti n� di uomini: sono ibridi di entrambe le specie che
lasciano spazio ad un'interpretazione aperta e un po' folle del
comportamento animale. Ogni tipo di gatto � introdotto da un
divertente scambio di opinioni fra due personaggi. In questi
dialoghi i personaggi si danno sempre un contegno di seriet�,
anche se trionfa una pungente ironia come nel caso dei due
vecchietti nostalgici che parlano dell'estinzione del gatto
selvatico o di altri due attori che elencano compiaciuti i
risultati di fantasiosi incroci di gatti. Ma se � ancora
individuabile nel dialogo uno scopo di ironica denuncia contro la
violenza o la cinica tendenza all'utile (Burroghs contro entrambe
dice infatti: "Cavare gli occhi a un gatto? Neanche se
mi danno pile di soldi da arrivare al cielo radioattivo!"),
nelle caratterizzazioni della dama-micia indolente o
dell'impavido Sandogatt si sfocia nella mancanza di senso pi�
totale, ci si perde con allegria fra i colori dei costumi, il
volteggiare vorticoso degli ombrellini e i giochi di parole
cantilenanti (se i pubblicitari riuscissero a trovare un'idea
come il "bianco gattiginoso" farebbero i
miliardi
).
Ma una figura solitaria distesa conclude la
serie di dialoghi facendoci capire che il non-sense nelle
caratterizzazioni corali dei personaggi non � un punto a sfavore
ma il risultato di una scelta: ha infatti la funzione di
ricostituire l'atmosfera di quel momento dell'infanzia a cui
risalgono i primi contatti con un mondo dove l'innocenza era
protetta da ogni logica di sopraffazione e i gatti non erano
mortali e tristi come, ahim�, sono tutti gli animali adulti, ma
si trasformavano in omini grigi e renne verdi per giocare sempre
con noi.
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