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Una frase, un
rigo appena: le situazioni
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Guido
Mascagni: a. s. 1970/71, sez. G |
Il
primo dei primi giorni di scuola |
Fantastico: 40 anni da allora, non sembra neanche vero, il
primo ottobre del '66 con i Beatles che avevano appena messo
fuori Revolver e io e Franco Vatalaro e Alessandro
Alessandrini e Stefano Naldi l�, senza ancora conoscerci
nell'aulona del pianoterra del Minghetti con le tende rosse
stracciate e un'umidit� da far venire su i funghi. A
guardarci in faccia straniti. A darci un contegno nonostante
giacca cravatta e pantaloni corti. A far finta di non essere
cinni. A chiederci (e non sarebbe stata l'ultima volta, ma
ancora non lo sapevamo) quali perversi piani aveva seguito
la sorte per farci ritrovare l� in trentasei con l'aria
rassegnata e smarrita del fucilando, otto del mattino e un
odore di cappotti bagnati. Freddo. Sonno. Emozione. Si sta
come d'autunno sugli alberi le foglie. Poi la porta si apre
ed entra la Resta.
La
Resta sarebbe stata il terrore di molti di noi per anni, un
principio d'ulcera prima della scoperta dell' Helicobacter
pilori condiviso con lei (che ne soffriva, si mormorava, per
una mancata nomina universitaria) a forza di entrate in aula
del genere. Oh, lo stridore del cappuccio della stilografica
svitato con estrema lentezza e a gran bella posta sopra al
registro delle interrogazioni, l'aletta dei nomi
sinistramente piegata all�infuori, la perfidia del pennino
che piano piano, lentamente lentamente scorre l'ordine
alfabetico, il terror panico, il torcibudello, beato chi
comincia per A, chi per B e anche per C, sfiga Zanasi che
preghi sottovoce e sottalbanco diofachenonminterroghi, se
esisti no, non oggi. Poi il fulmineo ritorno della penna
all�inizio della lista, la rottura del silenzio improvvisa,
il cardiopalma catartico:
�Alessandrini!�
�Non sono pronto.�
�Due!�
Cinque parole, quattro secondi in tutto, les jeux sont
fait et consummatum est: nel generale sollievo cala la
tela e la mannaia e avanti un altro.
Sarebbe stato cos� per anni, ma intanto quel primo di
ottobre la Resta entra in aula e ci guarda tutti in faccia
con l�aria sua consueta da zia di Goering.
�Bene,� fa gelida. �Benissimo. Trentasei. Bel numero. Bella
classe. Ma tanto fra tre mesi la met� di voi � gi� alle
Aldini�.
Tel
quel, come nel suo stile. E profezia che si avvera
regolarmente nel corso delle nove settimane successive con
una massiccia migrazione di compagni incamminati sotto una
grandine di due verso l�istituto che, solo a sentirlo
nominare, ci evoca visioni tra gulag di condannati alla lima
e l�isola dell�Inferno di San Brandano. Ma questo non fa
fatto perch� quel che volevo dire � che mi volto verso
quello che mi sta a sinistra e gli chiedo come si chiama.
�Franco,� fa lui.
�Guido,� faccio io.
�Piacere!�
�Piacere!�
Ci stringiamo la mano. Iniziamo un�amicizia che dura tuttora
nonostante un oceano di mezzo.
�VOI DUE!� salta su subito la Resta. �Nomi!�
�Vatalaro Francesco�, fa lui con tono smarrito.
�Mascagni Guido,� faccio io con la voce di chi gli hanno
tatuato un numero sul polso. La Resta scrive i nomi su un
registro, in caratteri gotici credo.
Insomma, beccati fin da subito, fin dal primo giorno che nel
Sessantasei � ancora il primo ottobre il primo giorno di
scuola, Vatalaro Francesco e Mascagni Guido si ritrovano
indissolubilmente legati dal legame pi� solido e duraturo,
quello della persecuzione, quello di chi subisce ingiustizia
ma perd�o non si piega. E per farci pi� forti ci trovammo
subito un paio di complici che in breve sarebbero diventati
compagni di avventura e sventura per i cinque anni a
seguire, naufraghi della buona e della cattiva sorte,
naviganti nel grande mare aperto della mediocrit� scolastica
e della scolastica mediocrit�, ulissi di immaturit� e
infantilismo smaltiti lentamente e a fatica negli anni,
nella disperazione di genitori e parenti e -- lo capisco ora
che sono pi� vecchio di quanto fosse lei a quel tempo --
perfino della stessa Anna Maria Resta, che in fondo era l� a
fare il suo lavoro con noi che glielo rendevamo difficile.
Adesso fuori
pioveva, le tende rosse sbattevano brandelli di squallore al
vento, i cappotti da cui spuntavano crini di cavallo lunghi
cos� puzzavano di cane bagnato ed eravamo intimoriti e
felici. Quello che iniziava non sarebbe stato il nostro
tempo migliore, i crini di cavallo erano duri e pungevano,
ma avevamo tutti un quaderno nuovo e una stilo, le ragazze i
calzettoni e un grembiule, Franco anche un astuccio e io un
portachiavi con Topo Gigio all�anella. Fuori pioveva, sul
muro di Via Maggia una scritta diceva W Nenni e si sentiva
il rumore di una serranda tirata su. Io avevo un Topo Gigio
all�anella.
Pioveva.
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Giampaolo
Cimatti: a. s. 1955/56, sez. E |
Una serie
di impressioni e ricordi in disordine, ma incancellabili: il
favoloso preside Lorenzetti, disponibile, aperto, elastico,
apparentemente severo. Le favolose feste nella palestra
della Polisportiva Sempreavanti, delle vere rumorose
ammucchiate, con musica, sguardi, incontri. Le indimenticabili
gite scolastiche organizzate dalla prof. Bonzani, quanto di pi�
divertente, trasgressivo e festoso si possa immaginare (gita a
Napoli e dintorni, gita a Portofino ecc.), le tragiche mattine
invernali in cui si veniva torturati con un compito in classe
inizio ore 8 e 10, da suicidarsi! Gli intervalli di minuti 10,
ricchi di risate, contatti, programmi pomeridiani.
Sono piccoli, brevi flash sulla vita vissuta nel favoloso
Minghetti.
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Fiorella
Giambi: a. s. 1948/49 |
Nel 1946
riuscii a riprendere il regolare corso degli studi, interrotto a
causa degli eventi bellici e, ritornata finalmente a
Bologna, potei iscrivermi al Liceo Minghetti, gi�
frequentato da mia sorella e in certo qual modo anche da me come
alunna della Scuola Media Unica dell'attigua Via Maggia, che in
quel tempo faceva parte del Minghetti del quale pure utilizzava
le aule.
E' difficile dire cosa rappresent� per me, in quel particolare
periodo, il Liceo Minghetti: l'economia nazionale era in
ginocchio, le ferite degli animi erano ancora aperte, brucianti
i ricordi della guerra che aveva lacerato la mia infanzia e la
mia prima adolescenza. Ritrovare e frequentare il mio caro
Minghetti fu per me un importantissimo segnale di ritorno alla
normalit�, la cui riconquista, lenta e faticosa, accompagn� i
miei tre felici anni di liceo e ne fui enormemente agevolata....
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Claudio
Pacetti: a. s. 1973/74, sez.G |
E' come
guardare un quadro impressionista d troppo vicino; sensazioni di
luce e colori abbacinanti di cui non si coglie del tutto il
significato.
Con uno sforzo di accomodazione compaiono i grandi universi:
Dante, Kant, i lirici greci, Orazio, cos� alla rinfusa! I primi
ad emergere nitidi sono forse i ricordi delle immagini
dell'arte: Cleobi e Bitone, il frontone del Partenone evocati
dal prof. Patrizi.
Una grande pace, una familiarit� con gli "antiqui
uomini" con cui "sdimentico ogni affanno, non temo la
povert�, non mi sbigottisce la morte".
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Laura
Callegari Hill: a. s. 1973/74, sez.G |
Sono le otto di una mattina qualunque; l'anno e' forse il 1972; potrebbe
essere inverno o primavera, ma non ricordo esattamente la stagione.
L'inconfondibile bidello Macchia apre il portone; la folla di studenti si accalca e varca la
soglia imponente. E' l'inizio di un'altra avventura intellettuale, alla scoperta
del passato, o forse del presente.
Innanzitutto, un'interrogazione di filosofia con il professor Vaccari:
Eraclito e la realta' del divenire. Il professore mi ascolta con estrema attenzione; divento
nervosa, mi confondo. "Amica mia, Lei e' caduta in contraddizione!"
Appena il tempo di riprendere fiato, e subito un'altra emozione: nel
silenzio totale della classe ammutolita, entra la professoressa Resta. Un compagno e'
chiamato alla lettura ritmica di un lirico greco: "E noi, come le foglie..." In quei
versi, bellezza, e un senso di eternita' che anche un sedicenne puo' percepire.
Suona la campana e, come un vortice, appare il professor Patrizi; dapprima
accigliato, come sempre, e poi via via sempre piu' travolgente ed entusiasta, mentre
descrive e quasi rappresenta alla classe, coi gesti, le meraviglie della
Porta del Paradiso.
Venti minuti di intervallo: uscire dall'aula; passeggiare per i corridoi;
forse salire lo scalone per visitare un'amica. E poi affrettarmi giu' di corsa, come
Cenerentola, per non perdere un minuto di letteratura italiana con la professoressa
Miani.Un altro sonetto di Petrarca, analizzato e goduto, prima di un compito in classe.
E' quasi la fine di questa giornata: l'ultima ora su, al secondo piano, in
laboratorio, per un esperimento sull'elettricita' con il tecnico Fiorini. Sediamo sui
gradini di un anfiteatro; il "piano nobile" e' finalmente anche nostro. Siamo "quelli
della G", solitamente un po' isolati nel nostro mondo periferico, ma oggi
protagonisti, per un giorno, per un'ora. Peccato, e' gia' finita: suona la campana dell'una;
cala il sipario, la folla si disperde, e anch'io ritorno a casa.
E ora, trent'anni dopo. Non piu' sedicenne, sono invece una signora di
mezza eta', cha vive in un altro continente. Dopo un lungo silenzio della memoria, i
ricordi ritornano, e con essi una domanda: quei cinque anni al Minghetti li ho
davvero vissuti, o solo sognati? La risposta non e' cosi' difficile. Si trova in quello
che sono diventata e che faccio adesso, nel mio sforzo quotidiano di comunicare la
bellezza e il senso della cultura italiana a giovani che parlano un'altra lingua, e
appartengono a un mondo diverso.
Un'ardua impresa, ma tutt'altro che impossibile, per un minghettiano.
Laura Callegari Hill
(diplomata nell'anno scolastico 1973-74)
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